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Battiamoci per un mondo senza psicofarmaci, dove i disagi di natura psichiatrica vengono investigati attraverso l'analisi delle cause organiche/psicologiche del singolo individuo, e non attraverso la somministrazione anche coatta di vere e proprie droghe legalizzate.
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Milano, Italy
Igienista e consulente legale specializzato in ambito giuridico-psichiatrico, ricercatore indipendente sul disagio umano con particolare attenzione a quello giovanile e sui danni da psicofarmaci (NOTA BENE: L'Igienismo è uno stile e filosofia di vita e NON una specializzazione in ambito medico), già maresciallo Capo dell'Arma dei Carabinieri (dal 24.09.1994 al 31.12.2017), ora docente ufficiale della prima scuola privata igienista italiana "Health Science University", attivista per i diritti umani e strenuo difensore dei diritti degli animali, da 14 anni si occupa in chiave igienista della correlazione fra alimentazione e malattia, con particolare attenzione alla salute mentale nonché all'utilizzo delle molecole più demoniache e distruttive mai inventate dall'uomo: gli psicofarmaci. L'intento di questo blog non è fornire indicazioni di natura medica, bensì quelle informazioni che possano essere utilizzate per effettuare delle scelte personali e consapevoli, soprattutto in ambito psichiatrico. NOTA BENE: QUESTO SITO RIFLETTE IL PENSIERO ESCLUSIVO DEL SUO AUTORE E NON HA ALCUN COLLEGAMENTO ED/O ESPRIME CONSIDERAZIONI IN NOME E PER CONTO DELL'ARMA DEI CARABINIERI

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venerdì 17 gennaio 2014

GLUTINE (E NON SOLO) E ATTACCHI DI PANICO, ANSIA E DEREALIZZAZIONE: LEGGETE QUESTA STUPENDA TESTIMONIANZA

LETTERA

Buonasera,
vorrei raccontarLe la mia storia. Ho 25 anni. Vivo a Firenze e da due anni stavo con una ragazza. E’ da circa 3 anni che soffro di attacchi di panico “prolungati” nel senso che mi durano circa 20-30 gg. senza stop sempre nel periodo estivo, mai in inverno. Provo un senso di distacco dalla realtà, una sorta di derealizzazione, come se le cose che vivessi fossero vissute da spettatore ansioso, penso di non capire i discorsi delle persone e mi fisso su di essi, mi fisso sui rumori e penso che arrivino in ritardo anche se alla fine non succede. Quando sono in questo stato tutti coloro che mi stanno attorno mi dicono che mi vedono triste, un po’ depresso, silenzioso, parlo poco e ho lo sguardo perso. L’anno scorso mi è capitato l’attacco di panico quando ero a fare il musicista in uno spettacolo diretto da mio fratello che è regista teatrale. Ho provato le stesse sensazioni descritte sopra e subito dopo la prima dello spettacolo sono voluto andare via. 

Era presente anche la mia ragazza. Sono stato una notte a casa di mio fratello e durante la notte l’ansia mi aumentava, sentivo come il cuore battere all’impazzata, mi sembrava di morire. Fu una notte d’inferno. Il giorno dopo il mio desiderio era quello di tornare a casa, di rivedere mia madre e dirle che stavo male. L’anno precedente sempre in estate mi successe la stessa cosa e mia mamma vedendomi in uno stato veramente difficile decise di portarmi in ospedale e lì mi dettero Valium per calmarmi e mi portarono al reparto di Psichiatria delle Oblate a Firenze. Io ricordo poco, ma mia mamma mi ha raccontato che mi riempirono di farmaci che mi rimbombarono e basta e non riuscivo neanche a parlare. 

Dopo questo ricovero sono stato seguito da un dottore che opera a Firenze. Ho cominciato a fare psicoterapia con lui e ad andare regolarmente una volta a settimana a parlare con lui. L’anno scorso quando sono stato male per lo spettacolo e sono voluto tornare a Firenze, il dott. mi ha prescritto Zypreza, En e Daparox in dosi basse. Quest’anno sempre in estate mi è venuto l’ennesimo attacco di panico sempre lungo più o meno una ventina di giorni. Rispetto alle altre volte dove mi rifugiavo in camera, urlavo, pensavo di impazzire, questa volta ho voluto reagire, perché avevo trovato un lavoro in una orchestra di musica da ballo e in estate avrei dovuto affrontare circa 40 giorni di concerti in Nord Italia e in Toscana perché suono sassofono e clarinetto. Ho quindi deciso di fare questo lavoro con l’ansia, il panico e l’angoscia. I primi giorni il pensiero era sempre fisso all’ansia, poi piano piano mi sono dato dei piccoli obiettivi nel lavoro, dato che oltre a suonare devo anche montare il palco e le luci. 

E' stata durissima con questa sensazione e questo macigno che ti occupa i pensieri. Quando mi vengono queste cose in estate succede sempre che mi compaiono all’improvviso, durano tanti giorni e se ne vanno via senza che me ne accorga. Anche quest’estate il medico mi ha prescritto all’inizio Zyprexa, poi vedendo io che non mi sortiva nessun effetto, ho chiesto di prendere En e Daparox, e il medico mi ha detto di prendere 5 gocce di Daparox a colazione e 5 a pranzo e 15 gocce di En prima di andare a dormire. 

Ho constatato nel corso dei tre anni in cui ho sofferto di attacchi di panico che queste medicine alla fine mi rintontivano e basta e mi davano solo una grande sonnolenza, e che forse sono uscito dallo stato di ansia e panico grazie alle mie forze. A parte il lato terapeutico descritto sopra Le vorrei raccontare della storia con la mia ragazza. Ci siamo conosciuti per caso ad un concerto due anni fa tramite amici comuni ed è stato subito amore. Era come se ci conoscessimo da sempre. E’ stato subito passione, eros allo stato puro. 

Lei precedentemente era stata con un ragazzo per 7 anni, e mi aveva raccontato che con lui non aveva mai voluto fare l’amore perché si sentiva a disagio. Si sono lasciati dopo sette anni mentre lei si laureava in storia dell’arte al triennio. Lui, essendo informatico, fino all’ultimo le controllava mail, telefono. Con me dopo neanche cinque mesi che stavamo insieme abbiamo avuto il primo rapporto sessuale per lei, e la sua reazione è stata un pianto fortissimo, me lo ricordo ancora, non smetteva più, credo fosse tanta la gioia di aver fatto questo passo con me. I mesi passavano benissimo. Ci siamo scritti tantissime lettere d’amore. 

La prima volta che ebbi gli attacchi di panico e alla quale lei assistette fu quando fui ricoverato in ospedale. Le dissero che era meglio se non veniva nel reparto di psichiatria, perché non era una bella visione come reparto. Devo però introdurre nella storia anche la figura di mia madre che poi c’entrerà molto con lei. Mia mamma è una persona che mi è stata sempre molto dietro, mi ha sempre voluto dire il suo pensiero riguardo a quello che facevo e io  ho sempre sentito un gran senso di responsabilità verso ogni cosa che facevo e di dover sempre portare un buon risultato a casa. Avendole sconsigliato di venire in ospedale, lei ebbe contatti per sapere come stavo attraverso mia mamma. 

Mia mamma mi ha raccontato che la chiamava ogni 10 minuti per sapere come stavo. Dopo il ricovero sono tornato a casa e solo dopo tanti giorni sono stato bene perché mi avevano veramente imbottito di schifezze e anche mia madre era la prima volta che assisteva a una cosa del genere e si fidò dei medici che trovò. La figura del Dott. comparve infatti dopo, dicendo che era stato un errore riempirmi di farmaci, perché non riuscivo neanche a parlare.

Riguardo al rapporto con la mia famiglia la mia ragazza, da quando ci siamo messi insieme, è sempre venuta spesso a casa, perché io ancora vivevo con i miei, perché la volevo vicino a me e stabilì con mia madre un rapporto madre-figlia. Ho conosciuto poi i genitori di lei di cui le parlerò in seguito. Ho cominciato a conoscerla meglio dal punto di vista del suo carattere in un avvenimento: si dimenticò di pagare la rata universitaria e rischiava di pagare la retta più alta. Scoppiò in un pianto pazzesco e non sapeva come fare, andò in confusione e voleva chiamare subito sua madre per risolvere il problema. 

Questi pianti si sono ripetuti tante volte nel corso della nostra storia per motivi per me futili come aver litigato con le sue colleghe di lavoro. Vorrei per questo dire anche della sua storia familiare per inquadrare bene la situazione. La sua famiglia vive in Trentino. Di mestiere il babbo e la mamma sono ristoratori all’interno di un campeggio. Per suo babbo e sua mamma tutta la vita è sempre stata basata sul lavoro, non c’era mai tempo per le vacanze e da come mi raccontava lei non c’era mai tempo per confidarsi con mamma e babbo perché la mamma doveva gestire il ristorante e il padre fare le pizze. 

Lei quindi ha vissuto una infanzia e una adolescenza con i genitori che hanno sempre lavorato, e a sedici anni ha cominciato a prendere il vassoio in mano e servire nel ristorante senza un Natale o una vacanza con gli amici. Dopo aver fatto il triennio a Trento ed essersi lasciata con il suo ex ragazzo dopo sette anni, ha deciso di fare la specialistica in storia dell’arte a Firenze e qui mi ha conosciuto. Nelle lettere d’amore che mi scriveva diceva che non aveva mai incontrato una persona come me, aperta, che la trattava così bene, con così tanta attenzione e cura e mi diceva che mi sarebbe stata vicino anche nei momenti negativi. 

A volte litigavamo per cose futili, io cercavo di parlare dei problemi mentre lei aveva un atteggiamento che non ho mai capito: mentre parlavamo dei problemi che erano sorti discutendo lei si chiudeva nel silenzio e non parlava. Non ho mai capito se lo facesse perché non voleva dirmi ciò che pensava o se non voleva ferirmi. Questi silenzi e questi pianti che lei aveva cominciarono a farmi capire che forse non possedeva una struttura interna forte, che era fragile, derivata forse dalla sua famiglia e da dove era vissuta. 

Aveva trovato me, e vedeva in me il superuomo, la persona che la poteva proteggere, come scriveva nelle lettere. Io nonostante avessi visto che aveva queste fragilità ho sempre continuato ad amarla. Quest’estate ho trovato il lavoro che Le dicevo nell’orchestra. Quando lo dissi a lei all’inizio fu felicissima. All’inizio non ero convintissimo perché di solito suono jazz, mentre nell’orchestra dovevo suonare liscio romagnolo. Fu lei a spronarmi a farlo. Verso giugno cominciarono le date estive che erano tantissime, soprattutto di sabato e domenica e anche durante la settimana. 

Un giorno mentre andavo a riprenderla a lavoro, perché lei attualmente lavora come da lunedì a venerdì e a volte la domenica, ci fermiamo in un parco a fare due chiacchiere e vedo che vuole parlare. Comincia a dirmi: “E adesso come facciamo? Quando ci vediamo se vai via così spesso? E le vacanze insieme? Come facciamo a progettarle se vai via? E io ho cominciato a dirle che ero contento di questo lavoro e proprio grazie ai soldi che guadagnavo con questo lavoro avremmo potuto andare in vacanza ma non le sapevo dire la data esatta perché dovevo dare priorità al lavoro perché il mio datore di lavoro mi dice le date a fine mese per il mese successivo ma che sicuramente saremmo andati in vacanza e ci saremmo visti. 

E lei a cominciato a dire che ad agosto era riuscita a rimanere a lavorare a Firenze, invece di andare su dai suoi a lavorare e l’aveva fatto per me. Io ho provato a spiegarle che in tutte le coppie c’è chi fa il cuoco, l’altra persona magari l’infermiera e trovano un punto di incontro, un bilanciamento tra lavoro e stare insieme come coppia. E lei è di nuovo scoppiata a piangere. Due giorni dopo si è scusata per la reazione avuta. Io a quel punto  mi sono sentito caricato di un senso di responsabilità, come quelli di cui mi caricava mia madre. 

Come se facendo questo lavoro, tradissi la coppia, lei voleva le vacanze, io non potevo dirle quando le avremmo fatte, soprattutto perché cerco di vivere la mia vita giorno per giorno e mi sembrava che lei iperprogettasse tutto. Varie volte parlando insieme lei fantasticava sul fatto di avere una famiglia e dei figli e io ero molto contento di questi pensieri. Le annoto questo perché ritornerà nel discorso. Dopo circa tre settimane da quella volta in cui discutemmo al parco mi è arrivato l’attacco di panico, la derealizzazione o non so cosa e mi riferisco a quest’estate. Ho continuato a lavorare e non so se ho fatto bene o male, ma lei lo ha preso come motivo per lasciarmi, le ho chiesto di allontanarsi perché vedevo che di fronte ai miei attacchi di panico, era più fragile di me, si rinchiudeva in se stessa. Le dissi, vediamoci meno, tanto dobbiamo lavorare tutti e due. Sentiamoci però per telefono e per sms. 

Da quando dissi queste parole non si fece più sentire. Provavo a chiamarla e mandarle messaggi ma non mi rispondeva. Dopo una settimana senza neanche chiamarmi mi ha mandato un sms: “Ti ho lasciato perché non sopporto più i tuoi attacchi di panico, mi fanno paura, e se tra vent’anni si aggravano, e se poi abbiamo una famiglia e ti vengono”. 

E mi ha lasciato così. Io non ci potevo credere. Mentre stavo male, mi scusi, ma mi sono dimenticato una cosa  importante, le chiesi se ad agosto potevo venire a casa sua, perché lei abita con delle coinquiline che nel mese di agosto tornavano a casa. Stavo ancora un po’ male e di fronte a questo mi rispose: “no, quando stai male, non vieni da me”. Basta. Dopo aver ricevuto quell’sms ho cominciato a chiamarla, ad assillarla perché non potevo credere che il motivo per cui mi aveva lasciato fossero i miei attacchi di panico. 

Lei non mi rispondeva o se mi rispondeva, divagava, diceva che non poteva, che non poteva vedermi o stare al telefono perché non voleva parlare con me. Mi diceva che la assillavo. Io le chiedevo perché non rispondeva ai messaggi e lei mi diceva, tanto quando stavamo insieme tu non mi rispondevi (cosa non vera, ma credo che quando una persona lascia un’altra persona, comincia a trovare tutta una serie di motivazioni per far sentire l’altra persona una merda, o trovare tutti i difetti, che, mentre si stava insieme non c’erano o non venivano detti). 

Siccome lei è sempre stata una utilizzatrice accanita di facebook, quando ci siamo lasciati ha cominciato a scrivere frasi prese da libri del tipo “la vita da soli è triste ma ci risolleva” e poi a mettere foto con le sue coinquiline al mare. Io non ho mai amato facebook infatti non sono più iscritto, ma quando mi lasciò tentai di mettere molte foto di noi insieme e lei subito mi disse “toglile, non mi sembra il momento, dovevi metterle prima, ormai è troppo tardi. Io non do grande conto a facebook perché non baso la mia vita su quanti “mi piace” mi mettono alle foto o se tutti mi vedono o guardano quello che scrivo. Dopo essersi lasciati non ha più voluto vedermi e l’unica volta che ci siamo rivisti faccia a faccia è stato dopo 15 giorni, perché in casa nostra lei aveva lasciato molte cose e volevo ridargliele perché più le avevo in casa e più stavo male e mi facevano pensare a lei. 

Ci siamo rivisti a un bar, non mi ha neanche fatto salire in casa sua. Per quell’occasione le avevo scritto una lettera in cui elencavo tutti i miei possibili errori fatti durante la nostra relazione (poi mi sono accordo che incolparsi non serve a niente, hai fatto quello che hai fatto senza colpe). Tra le colpe che mi davo c’era quella di non averla portato spesso fuori ed essere stati molto a casa ma non potevo fare altrimenti perché non avevo ancora trovato lavoro, di non essere andato spesso a casa da lei e cenare con le sue coinquiline, di cui le però ha sempre parlato male anche quando era a casa nostra e quindi per me risultava falso andare a  cena da loro dato che poi la persona con cui stavo parlava male di loro e faceva buon viso a cattivo gioco. 

Insomma le lessi questa lettera di fronte a lei dicendole che se il problema erano gli attacchi di panico, mi sembrava questa volta di averli affrontati molto meglio, invece lei mi ha detto che l’ho allontanata, che l’ho fatta sentire inutile. Io mi sono scusato di averla allontanata. Lei è rimasta in silenzio, come quei silenzi di cui le raccontavo sopra e l’unica cosa che ha saputo dire è stata “forse anche io ho fatto degli errori”. Io mi aspettavo che mi dicesse più di queste due parole visto che io le avevo letto una lettera di 8 pagine ma niente. La lettera è durata 5 minuti quindi pensavo che dopo quel tempo ci saremmo salutati. Invece lei ha voluto che rimanessi ancora lì e siamo stati a quel bar per due ore, con io che avevo le lacrime e anche lei, a guardarsi negli occhi come dei cretini secondo me. 

Alla fine penso di essere stato al suo gioco del silenzio. Io avrei voluto dialogare, parlare, capire come risolvere, perché non mi capacitavo che mi avesse lasciato per i miei attacchi di panico. Le avevo portato la borsa con le sue cose e le lettere che mi aveva scritto e molte cose che lei mi aveva regalato nel corso della nostra relazione un po’ sperando che questo la facesse pensare, e magari mi dicesse, no dai, andiamo avanti. Invece niente. Ci siamo salutati e non ci siamo più visti. Da agosto a settembre solo sms, dove in pratica mi sembrava di parlare da solo, tentavo di riconquistarla, volevo incontrarla di nuovo ma lei diceva di no. Lei a questi miei messaggi ha sempre risposto in tono arrabbiato e scocciato e mi scrisse: “Io ti ho lasciato … non è una pausa di riflessione. Mi dispiace. Ne avevamo già parlato di questo. E ti avevo detto che preferivo dirti che era una fine per non illuderti di cose che (potrebbero anche non essere). 

Quest’ultima frase tra parentesi non l’ho mai capita e non so proprio cosa significhi. Mi ha detto anche: “non scomparire, ma cerca di stare tranquillo” questo perché le dissi che preferivo scomparire dalla sua vita. Mi disse che non dovevo scomparire perché non voleva tagliare totalmente i ponti con me, che voleva rimanere in buoni rapporti (“al momento di amicizia”. Anche questo “al momento”non l’ho mai capito. Voleva dirmi che voleva rimanere in buoni rapporti per sentirsi meno colpevole? Non lo so proprio. So solo che questo “non scomparire”, “al momento di amicizia”, mi hanno fatto venire tanti dubbi che lei fosse molto confusa, che forse voleva riallacciare i rapporti, rivedersi. Poi continuò a ripetermi di lasciarla in pace, che voleva essere lasciata tranquilla perché non aveva niente da aggiungere rispetto a quello che aveva detto e che non dovevo fare niente per riconquistarla ma non la dovevo assillare. 

Lei tre settimane fa ha parlato con una nostra comune amica dicendole che ora è convinta della sua decisione di avermi lasciato, fra sei mesi chi lo sa e che ora vuole vivere con le sue coinquiline, di cui lei ripeto parla male e che vuole vedere se stando senza di me a settembre sente la mia mancanza. Se fosse una persona normale o con meno fragilità di quante credo abbia, non avrebbe bisogno di dire che deve provare a stare un mese senza di me per capire se le manco, se ha provato amore nei miei confronti. Io, caro dottore, non ho capito molto delle sue risposte sempre vaghe, del suo non volermi dire “Andrea, vai a fare in culo”. Mi ha sempre lasciato in stand-by. Io ho deciso di scomparire, non mi sono più fatto sentire, quando l’ho vista non ho più avuto il coraggio di salutarla, visto che lei mi aveva espressamente detto di lasciarla in pace e che non aveva niente da aggiungere a quello che aveva già detto. Dopo tre mesi che non vedeva mia mamma, che le aveva chiesto precedentemente, mentre stavo male, di prendere un caffè loro due, senza parlare di me, ma solo per fare due chiacchiere, lei rispose di si, che quando sarebbe tornata da casa, cioè dai suoi si sarebbero incontrate. Ecco, non si è fatta più sentire e vedere e quando ha dovuto lasciare delle chiavi di casa nostra perché ci servivano, non ha avuto il coraggio di salire in casa, le ha lasciate nella cassetta della posta, scrivendo a mia mamma. 

“Scusate, sono tanto confusa. Ho bisogno di pensare”. L’unica cosa che ha fatto, e che a me è sembrata assurda dopo tre mesi che non ha più voluto vedere i miei o me, è stato mandare un sms di auguri a mia madre per il suo compleanno con scritto “Auguri, un abbraccio”. Poi dopo che io ora non la sento da un mese, circa una settimana fa mi ha scritto un sms: “Quando mi incontri per strada, potresti anche salutarmi, invece di girarti dall’altra parte”. Io forse l’ho vista, ma soffrendo fin dalla nascita di cataratta prenatale, ci vedo da un occhio solo e magari lei mi è passata vicino all’occhio in cui non vedo. Non capisco se questi messaggi arrabbiati che lei mi manda sono modi per voler comunque rimanere in contatto. 

Io penso solo che se mi hai detto lasciami in pace, non mi assillare, non ho niente da dire, penso che devo rispettare quello che mi hai detto. Io a questo messaggio arrabbiato non ho risposto perché non mi sembrava giusto. Quando ci lasciammo la prima cosa che fece fu bloccarmi da facebook e cancellarmi dagli amici e cambiare tutte le sue password dei suoi account, penso forse credendo che potessi controllarla, come faceva il suo ex, ma forse non ha capito che non sono il tipo. So solo scrivere al computer, non saprei da dove partire per pedinarla o tampinarla. Anche questo atto mi è dispiaciuto, mi è sembrato un tradimento alla mia persona. L’altro giorno mia mamma si è accorta che la mia ex ha tolto anche lei da facebook. 

Io mi sono cancellato definitivamente e infatti in fondo alla mia lettera le vorrei allegare un discorso che ho trovato in internet, di una ragazza che parla di facebook, che penso sia il male attuale di noi giovani. Ogni tanto mi viene da pensare che tra noi giovani tutto si è ridotto a mettere un “mi piace” o “accettare una amicizia” o “taggare”. Pochi sono rimasti immuni e ormai le persone stanno più attaccate al computer o al cellulare ad aspettare che qualcuno si accorga di loro o li consideri. 

Il 28 settembre era il mio compleanno. Ho compiuto 25 anni. Lei non mi ha fatto gli auguri ma a mia mamma si. Il comportamento che sto assumendo ora è di essere scomparso dalla sua vita, non ho un profilo facebook, non ho foto che lei può vedere, non può sapere niente di me se non chiamandomi o mandandomi un messaggio, mentre lei quando mi ha lasciato metteva su facebook foto con le sue coinquiline, o frasi come “ti rialzerai presto, anche se sei sola”. Siccome stando a casa dai miei sentivo la responsabilità della figura di mia madre, del fatto che a 25 anni mi sembrava giusto fare da me, non farmi fare la spesa e cucinare dalla mia famiglia, ho deciso di andare ad abitare da solo con altri studenti in centro a Firenze. Lavoro sempre nell’orchestra, e ho trovato un lavoretto per arrotondare, posando come modello per ritratto e nudo per una scuola d’arte. Si fa questo ed altro per l’arte che sia arte pittorica, scultorea o la mia amata musica. Ogni tanto mi verrebbe di ricontattarla, dirle che la amo, ma molti amici e parenti mi consigliano di non farlo, di lasciarla nei suoi dubbi, che forse ha voluto lasciare una persona che alla fine lei definiva speciale, magari così ho pensato io nella sua testa potrebbe dire “ecco, non mi assilla più, ora mi manca” e allora magari sarà lei a richiamarmi. Io non so davvero come comportarmi. Sto in silenzio. La amo ancora, e vorrei farle capire che gli attacchi di panico non devono spaventarla.

 Ma non so se ci riuscirei, perché dal suo passato e da come l’ho conosciuta mentre stavo male ho visto una persona fragile che non mi sarebbe potuta forse stare accanto. Mi piacerebbe dirle: “ma se tra vent’anni o trenta mi viene un tumore, che fai scappi, te ne vai? Come stai facendo ora con i miei attacchi di panico”. O fai come una persona normale, la aiuti, ti curi di lei come dicevi innamorata nelle lettere che mi scrivevi. L’unica cosa che mi viene da pensare è che la forza di una coppia di innamorati si vede si dagli atti d’amore reciproci di ogni giorno, ma si vede soprattutto nei momenti di difficoltà, quando uno c’è per l’altro, c’è incondizionatamente, anche quando sta male.

Ultimamente mi sono informato sul mal di glutine, il fatto dell’alimentazione e della sua correlazione con stati d’ansia, derealizzazione. Chi lo sa se ci può essere una correlazione tra ansia e derealizzazione e alimentazione. Io so solo che da un po’ di tempo non mangio più pane, pasta, pizza, cereali, patate, legumi e sto benissimo. Mi sento forte. Chi lo sa se quest’estate e la aspetto con ansia, mi riverranno queste cose e chi lo sa se continuassi ad alimentarmi bene senza glutine, non succeda più niente.


F.to A.


RISPOSTA

Buonasera sig A.,
e grazie della sua lettera.

Non è da tutti condividere con questo piccolo uomo (che rimane per voi comunque un estraneo) tale e bellissimo insieme di sentimenti, storie e sensazioni personali.

Mentre le rispondo, sto mangiando un frullato di nove squisite banane mature, con l'aggiunta di cinque noci "Macadamia".

Perché le dico questo? 

Le dico questo perché mi piacerebbe proprio cominciare dall'ultimo paragrafo della sua lettera, dove dice di sentirsi molto più forte da quando ha eliminato pane, pasta, pizza, cereali, patate e legumi.

Cosa posso dirle? Certo che si sente meglio, e questo, se lei lo vorrà, è solo l'inizio.

Il messaggio innovativo che questo blog cerca di trasmettere da più di due anni è semplice: le manifestazioni di ordine psichiatrico hanno molto più spesso di quanto si creda una base parzialmente o totalmente di origine organica.

Questo significa che dal più "piccolo" stato d'ansia alla più potente psicosi non si può mai e poi mai non considerare la parte "fisica" del nostro corpo, anche se l'unica manifestazione che possiamo vedere è di ordine psichiatrico.

E l'alimentazione la fa quindi da padrona: che piaccia o meno, il nostro corpo è fruttariano al 100%, basta guardarsi allo specchio, e quindi un'alimentazione crudista al 100% è e rimane l'unico modo di alimentarsi secondo Natura.

Più ci si discosta da questo, più arrivano le cosiddette "malattie" (anche mentali), che altro non sono che segnali di tossemia interna.

L'Uomo è nato per essere calmo, ponderato, compassionevole, e il cibo influenza grandemente il nostro modo di ragionare e di porci nei confronti del mondo.

Per quanto riguarda la sua pregressa storia d'amore, mi permetto di darle un consiglio.

Rinforzi se stesso continuando nel suo percorso disintossicativo e di cambiamento.

Mandi a quel paese chiunque tenti di darle ancora veleni come lo Zyprexa.

Quando si sentirà fisicamente forte, vedrà che la sua attitudine mentale cambierà anch'essa e si sentirà ancora più pronto ad affrontare qualunque ostacolo la vita le porterà davanti.

Ora, vada nel motore di ricerca interno al blog posizionato in alto a destra (digitando gli argomenti di interesse come "Zyprexa", "glutine" etc...) e si faccia finalmente una cultura controcorrente di come si possa finalmente riconquistare la propria salute, soprattutto quella mentale.

Pietro Bisanti
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