Buongiorno sig. Pietro Bisanti,
Le scrivo per conto di una mia carissima amica, la quale nel 2012 ha subito un ricovero coatto ed è stata dimessa dall’ospedale con la diagnosi di psicosi, lei si è sempre rifiutata di assumere la terapia dopo il ricovero , in quanto le procurava non pochi effetti collaterali.
In seguito, più precisamente nel 2015 ha dovuto far ricorso alle cure ospedaliere per una grave carenza di sodio e potassio (sostanze fondamentali per la vita stessa delle cellule e quindi per la vita della persona).
La situazione era questa, le riporto quanto scritto nella lettera di dimissioni della mia amica dall’ospedale.
Motivo del ricovero: "assunzione accidentale di bicarbonato di sodio, subito dopo il ricovero la paziente presenta una grave carenza di sodio e potassio, diagnosi psicosi".
A detta dello psichiatra il motivo della carenza di questi minerali era dovuto all’ingestione, specifico accidentale, del bicarbonato di sodio (faccio presente che lei lo usa talvolta per “sbiancare” leggermente i denti, sostanza la quale viene utilizzata anche dagli odontoiatri per fare l’ablazione del tartaro e togliere eventuali macchiette sui denti, quindi non in grado di causare una tale carenza).
Secondo la mia amica la carenza dei sopra citati minerali era prodotta dai farmaci che lei stava assumendo in quel periodo per curare una sinusite, gli antibiotici, ai quali risultava intollerante cagionandole continua diarrea e quindi debilitando il suo fisico, riscontro avuto anche da una ricerca fatta in Internet.
La situazione attualmente è la seguente, la mia amica tornata dall’ospedale si è rifiutata di assumere farmaci, si prede cura di stessa e di ciò che è necessario per il vivere quotidiano, inoltre come gli altri fratelli presta assistenza alla madre una domenica al mese dalle otto del mattino alle 8 di sera.
Faccio presente che ella si è iscritta all’università, facoltà di Psicologia e sta portando avanti i suoi studi con successo, l’ultimo esame dato di neurofisiologia ha ottenuto 28/ 30, mi sembra un buon risultato.
Io le scrivo perché la mia amica a volte è un po’ preoccupata e spesso mi dice “spero di non aver mai bisogno delle cure ospedaliere perché ho compreso che una volta che sei stata ricoverata lì quello diventa il tuo reparto per il resto dei tuoi giorni, ed io ho fatto una dannata fatica per scrollarmi di dosso tutti gli abusi subiti, cercando di recuperare la fiducia e l’autostima che un tempo mi apparteneva”.
La mia domanda è semplicemente questa: nella sciagurata ipotesi che tale situazione si ripresentasse Lei come potrebbe aiutare la mia amica? Mi potrebbe dire in cosa consiste il suo aiuto? Intendo dire cosa potrebbe fare concretamente?
La mia amica non è a conoscenza di questo mio scritto, mi sono riservata di informarla in seguito ad una Sua risposta, preciso che ella ha una figlia adulta, una sorella e ben quattro fratelli (nessuno a parte io è a conoscenza del fatto che lei è iscritta all’università, lei desidera dirlo al termine del percorso di laurea), ma purtroppo non ha il supporto di nessuno di loro, anzi secondo loro lo psichiatra ha ragione, questo è il motivo per cui io mi sono assunta la responsabilità di chiederle un eventuale supporto o aiuto nel caso di effettiva necessita o meglio di un eventuale ricovero nel medesimo reparto.
Spero che Lei cortesemente mi possa darmi una risposta nel più breve tempo possibile
La ringrazio per la Sua attenzione
Le porgo cordiali saluti
Lettera firmata
RISPOSTA
Buongiorno Anonima,
e grazie di aver scritto a questo piccolo uomo.
Come dico sempre, non sono un medico, non faccio diagnosi, non curo nessuno né prescrivo alcunché, e ben me ne guardo dal farlo, essendo io stesso un autentico sostenitore della capacità autoguaritiva del corpo umano, allorquando gliene venga data la possibilità.
Ribadisco, per evitare qualunque equivoco (certo non da parte mia), che quanto mi accingo ad esporre è e rimane IL MIO PERSONALE PENSIERO: non sono un medico e non ragiono come tale. L'Igienismo Naturale, che ha millenni di storia, è ciò che io ritengo sia la strada giusta da seguire e che applico in primis, ogni giorno, su me stesso.
Questa doverosa precisazione è la diretta conseguenza del comportamento delle (poche) persone che hanno provato a riversare sul sottoscritto i propri fallimenti personali: quando non si sa a chi dare la colpa della propria vita di merda, si punta il dito contro chi tenta, nel rispetto delle Leggi e dell'autodeterminazione sanitaria, di darti una mano.
Veniamo a noi.
Mi perdoni se potrò apparirle brusco ma quello che deve arrivare FORTE e CHIARO è il mio messaggio, in quanto qui c'è di mezzo la vita di un essere umano.
Ho personalmente assistito a talmente tante storie che ormai ritengo di avere una esperienza granitica in merito...
Quindi, la prima cosa che mi viene da chiedere è: "Ma come diamine sta vivendo questa donna la propria vita OGNI GIORNO?".
Vivere non significa SOPRAVVIVERE. Vivere significa GODERE della vita, anche delle sue difficoltà, PADRONI del PROPRIO CORPO e della PROPRIA MENTE.
Siamo sicuri che questa donna lo sia? Io dico di NO, altrimenti non avrebbe bisogno di "cure", non avrebbe bisogno di farsi di antibiotici, non avrebbe carenze di alcun tipo... insomma...come vive questa persona? Come mangia? Come respira? Che relazioni ha con il mondo esterno? Quanti psicofarmaci ha assunto?
Non "me ne faccio niente" di un esame universitario magari passato ripetendo a mo' di pappagallo delle nozioni lette su di un libro.
Qui bisogna prima di tutto laurearsi all'"università della vita", che significa avere un CORPO e una MENTE in perfetta salute ed efficienza.
Io non so nulla di questa donna ma non ci vuole niente per capire quanto ci si trovi di fronte a una persona che, volente o nolente, ha maltrattato da sempre il proprio corpo... e continua a farlo.
Rispondendo alle sue domande, le preciso che NESSUNO può imporre la somministrazione di farmaci al di fuori di un atto di trattamento sanitario obbligatorio.
Bisogna però anche capire quale sia la "posizione" di questa donna: è in carico a un Centro di Salute Mentale?
Se sì, come detto poc'anzi, può rifiutarsi di assumere i farmaci ma questo va comunque fatto con cautela ed intelligenza: nella pratica, i CSM si sentono responsabili delle persone a loro assegnate dopo un ricovero ospedaliero e quindi si allarmano quando le medesime rifiutano le terapie e/o risultano "sfuggenti". Il mio consiglio è quindi di sganciarsi dal CSM con intelligenza e per questo è necessario farsi affiancare da una figura competente in materia, come il sottoscritto.
Potrò quindi fissare un appuntamento con il CSM di zona e accompagnare la signora a un colloquio in qualità di "persona di fiducia sanitaria", che è un figura espressamente prevista dalla Legge, facendo valere le sue ragioni.
Perché, se ci si limita a "sparire" i CSM hanno comunque l'arma dell'accertamento sanitario obbligatorio, con cui, in pratica, possono coattivamente sottoporre a visita una persona di cui si sospetti uno stato di sofferenza mentale... e da questo il passo al trattamento sanitario obbligatorio è spesso molto veloce e automatico, specialmente quando si è SOLI.
Detto questo, nel caso invece non fosse assegnata ad alcun CSM (ma la vedo dura), e comunque a prescindere da tutto, se fosse emesso un accertamento sanitario obbligatorio e/o un trattamento sanitario obbligatorio posso in prima persona intervenire presenziando agli stessi e fornendovi assistenza legale.
Ma tutto ciò NON PUO' PRESCINDERE dal fatto che la cosa principale per evitare tutto questo sia TORNARE IN SALUTE.
Che significa trattare il proprio corpo alimentarmente/emozionalmente/ambientalmente come una reliquia...
E su questo, sia lei che questa donna, siete a DIGIUNO COMPLETO.
Quindi, lettura IMMEDIATA del mio libro "Assassini in pillole: la Psichiatria moderna vista con gli occhi di un carabiniere".
Cominciate a informarvi.
Questa è l'arma vincente.
Pietro Eupremio Maria Bisanti
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Siamo ora in grado di offrire un servizio di tutela legale, per chiunque si trovi tra le maglie della psichiatria o abbia subito da essa un danno.
Il concetto è molto semplice: chi può pagare poco, paga poco; chi non può pagare nulla, non pagherà nulla e noi interverremo comunque, per il semplice concetto che un essere umano in difficoltà deve sempre essere aiutato; chi può pagare tanto, pagherà il giusto e sarà a sua discrezione donare qualcosa a questa causa.
In questo modo, in base alle proprie possibilità, questo innovativo servizio potrà rimanere in piedi, senza sprofondare dopo due giorni.
SIAMO INOLTRE IN GRADO DI FORNIRE UN SERVIZIO DI ASSISTENZA PSICOLOGICA NON ATTRAVERSO IL SOLITO "PSICOLOGO DA LETTINO", BENSI' CON L'AUSILIO DI PROFESSIONISTI CHE AIUTINO VERAMENTE, SENZA "INCOLLARE" IL PAZIENTE A VITA.
Noi ci siamo. Per tutti, nel limite delle nostre possibilità.
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