Vi racconto, sempre nel rispetto della privacy e del segreto istruttorio, un'altra giornata di ordinaria follia all'intero di una caserma dell'Arma dei Carabinieri.
Ieri pomeriggio ho ricevuto, mentre mi trovavo in ufficio, una chiamata dei carabinieri addetti all'accoglimento del pubblico in entrata, con la quale mi si chiedeva se fossi disponibile a conferire con una persona che "voleva qualche delucidazione in merito al tentativo di suicidio della propria moglie".
Data la delicatezza della situazione, ho inteso prendere contatti immediati con il medesimo, facendolo accomodare nel mio ufficio, seppur avessi preliminarmente verificato che altri carabinieri, non appartenenti alla mia stessa unità, erano effettivamente intervenuti in merito ai fatti in trattazione.
Il signore, un italiano di circa 70 anni, comincia quindi a raccontarmi nel dettaglio la sua situazione.
Egli precisa che la propria moglie, medico con specializzazione in ginecologia, aveva giorni addietro tentato il suicidio attraverso l'ingestione di numerose compresse di antipsicotici e di tranquillanti, e che fosse per questo stata trasportata presso un nosocomio del milanese.
Aggiunge che, alla base di tale gesto, vi era quasi sicuramente la tesissima situazione in corso relativa alla di lui decisione di formalizzare un atto di separazione.
Più il signore parla, e più io capisco che c'è una gran puzza di psicofarmaci più che di reali problemi personali: milioni di persone si separano ogni anno, ammazzarsi è un'altra cosa.
Gli chiedo quindi come sua moglie fosse entrata in possesso di farmaci così potenti, e lo stesso mi risponde che, essendo medico, se li era praticamente "autoprescritti".
La narrazione della storia va avanti, e aggiunge che dopo essere stata trasportata al pronto soccorso di un nosocomio del milanese, viene dimessa con la seguente terapia:
1) Cipralex, principio attivo "escitalopram", antidepressivo della categoria SSRI, commercializzato anche con il nome di "Entact";
2) En, quale benzodiazepina.
Dopo pochi giorni di terapia, entrambi vanno a dormire.
Il signore viene svegliato da dei rumori in cucina, e interviene giusto in tempo mentre la moglie si sta legando un cappio al collo (fatto con la cintura dell'accappatoio), per suicidarsi.
Qualunque richiesta di spiegazioni è inutile: la signora scoppia a piangere e non sa perché si stava impiccando.
Continuando nella conversazione, scopro che anche la sua prima moglie, dopo tre anni di terapie per "curare" una depressione che non passava, si è uccisa, nel 2007, impiccandosi in casa.
Queste ora le mie considerazioni personali.
Nessuno nega che problemi reali possano assestare duri colpi al nostro corpo e conseguentemente alla nostra psiche.
E nessuno nega che moltissime persone ogni giorni si ammazzino a causa e in conseguenza di problemi veri e reali.
Non si può però negare ormai l'epidemia di suicidi, omicidi, omicidi/suicidi e vari atti di natura violenta direttamente collegabili all'uso di psicofarmaci, e soprattutto degli antidepressivi delle categorie SSRI e SNRI (rispettivamente, selettori della ricaptazione della serotonina e selettori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina).
Nel caso in questione, un essere umano già fragile, si autoprescrive dei potenti antipsicotici, che portano verosimilmente a simulare un suicidio, per attirare attenzione.
Non vedo, in questo caso, una vera spinta suicida, ma più un gesto dimostrativo.
È la successiva terapia con antidepressivi che deve fare paura, e molta.
Entrambi vanno a letto, e lei si alza con il chiaro intento di impiccarsi (tipico suicidio indotto da antidepressivi SSRI e SNRI): non si può essere salvati quando si ha un cappio al collo, mentre l'overdose di farmaci è spesso tamponabile.
Ho passato più di un'ora a parlare con un essere umano sconvolto, a cui gli psichiatri non avevano dedicato neppur un minuto in più del proprio tempo per spiegargli quanto è anche obbligatoriamente scritto nel bugiardino dell'antidepressivo prescritto alla moglie, e cioè che tali farmaci aumentano il rischio di ideazioni suicidiarie.
Tale avvertenza è stata inserita proprio a seguito della carneficina che continua ad avvenire ogni giorno.
Persone depresse, che possono essere tranquillamente aiutate attraverso il binomio cibi puliti-pensieri puliti, e quindi attraverso un'impeccabile alimentazione vegana, il più crudista possibile, e un'infinita dose di amore e pazienza, vengono sottoposte con disarmante faciloneria a terapie che, nel migliore dei casi, daranno loro un finto benessere, un pompaggio forzato dell'umore che non durerà per sempre, e che farà vedere il suo lato oscuro nel momento della dismissione dei farmaci.
E, nel peggiore dei casi, e oltretutto non così raro come si possa pensare, trasformano il malcapitato di turno in assassino di se stesso e/o degli altri.
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Psicofarmaci, volete portargli via anche la seconda moglie?